Il merchandising è una parola che non può mancare nel vocabolario di chi si occupa di marketing o di vendita. È una parola dal doppio significato e si può riferire proprio a due ambiti distinti; ma il suo obiettivo è certamente uno solo: la vendita. Parliamo di trademark merchandising e visual merchandising. Vediamo di cosa si tratta.
Questa tipologia di merchandising vuole la brandizzazione di diversi prodotti anche se non direttamente legati al settore in cui la marca opera. Per fare un esempio, sono i gadget che un brand decide di realizzare, come la maglietta degli Hard Rock Caffè, tutti i prodotti in vendita nel book store di un museo, le spille, i cappellini eccetera. Sono prodotti “marchiati” che servono a far girare il logo (ecco i nostri consigli per realizzare un logo efficace) o qualcosa che identifica in modo indiscutibile il brand. Qui vince senz’altro l’idea più originale e innovativa, ma anche la grafica e la bellezza di un prodotto a livello visivo. I gadget non devono essere necessariamente economici perché sono un ricordo, per cui la gente spesso è disponibile a pagare quel ricordo. Quindi può considerarsi senz’altro una voce di entrata.
Il visual merchandising è invece quello che studia la disposizione della merce e l’organizzazione del punto vendita. È una tecnica che, anche nei suoi elementi basilari, serve a chiunque abbia uno spazio da allestire per la vendita, che sia esso una bancarella o un megastore. L’obiettivo è quello di mettere in campo idee e strategie per attrarre il cliente e spingerlo ad acquistare, provando piacere, curiosità e sensazioni positive. Il visual merchandising può essere una dote naturale, ma è anche una tecnica che si affina con il tempo o una disciplina che si studia. Il sesto senso e il buon gusto purtroppo non sempre sono sufficienti in un mondo così tanto competitivo come quello attuale. Esistono infatti consulenti e figure professionali che studiano nel dettaglio l’organizzazione degli spazi e la disposizione degli articoli. Anche questo fa parte dello studio dell’identità del brand.
Lo viviamo sulla nostra pelle ogni volta che entriamo in un negozio o ci avviciniamo a una vetrina. La disposizione piacevole degli oggetti, ordinata o volontariamente disordinata può attrarre la nostra attenzione e curiosità. Una vetrina intera con uno stesso identico prodotto è lampante, così come quella vuota con un solo prodotto in centro illuminato. Poi ci sono le luci, i percorsi interni, le divise dei commessi, gli scaffali delle offerte. Tutto questo ha un senso e un criterio.
Per sintetizzare al massimo, sono quattro gli elementi di studio. C’è il percorso, cioè la circolazione che il cliente deve fare all’interno del negozio. Pensiamo ad esempio agli autogrill, dove il percorso è vincolato proprio per obbligare il cliente a vedere tutta l’esposizione. La stessa cosa vale per alcune catene, come Tiger ad esempio o Ikea, che ha un percorso predefinito con tanto di segnaletica. In secondo luogo c’è la collocazione della merce per aree, e quindi il raggruppamento per referenze, settori o marchi. All’interno dello stesso genere i prodotti hanno una sistemazione studiata che consente il confronto e una visibilità più o meno accentuata. In ultimo c’è la sistemazione sullo scaffale o in vetrina o sul banco, quindi la “coreografia” e l’impatto visivo. Tutto questo, può certamente condizionare la scelta, la vendita e l’identità o la percezione di un brand.